
L’arte di scivolare sulle cose
Sapevate che esiste una scienza che studia la scivolosità delle cose? No?
Partiamo dall’inizio. Un passo alla volta e attenti a dove mettete i piedi.
Il premio Ig-Nobel è un riconoscimento satirico che viene assegnato ogni anno a dieci ricercatori, autori di ricerche “strane, divertenti, e perfino assurde” che “prima fanno ridere e poi danno da pensare”.
Lo scopo dichiarato è “premiare l’insolito, l’immaginifico, e stimolare l’interesse del pubblico generale alla scienza, alla medicina, e alla tecnologia”. I vincitori sono selezionati in base ad articoli pubblicati su riviste scientifiche autorevoli.
Nel 2014, l’Ig-Nobel in Neuroscienze è stato conferito a Jiangang Liu e colleghi della Beijing Jiaotong University, per aver studiato cosa succede nel cervello delle persone che credono di vedere il volto di Cristo su una fetta di pancarré, il fenomeno noto nella scienza come pareidolia. L’ig-Nobel per la biologia è andato a un gruppo di ricercatori della Repubblica Ceca e della Germania per aver dimostrato che i cani, quando devono fare i loro bisogni, allineano il proprio corpo con le linee nord-sud del campo magnetico terrestre.
L’Ig-Nobel per l’arte è stato conferito a un gruppo di ricercatori italiani, i quali hanno presentato uno studio sull’arte antidolorifica, hanno cioè analizzato la percezione del dolore di una persona che sta osservando un dipinto mentre viene colpita da un raggio laser, scoprendo che più bello è il dipinto meno dolore la persona prova. Botticelli come l’ibuprofene.
Sempre nel 2014 Ig-Nobel per la Fisica è stato assegnato a Kiyoshi Mabuchi e colleghi della Kitasato University di Tokyo, per uno studio sull’attrito tra una suola di scarpa e una buccia di banana.
Gli scienziati hanno misurato il coefficiente di attrito radente (μr) tra la buccia di una banana Cavendish e un pavimento in linoleum, che risulta essere di 0,06. Inoltre, è stato calcolato che l’angolo del passo, di solito di circa 15°, per non scivolare su una buccia deve essere ridotto a 3,8°.
Studiando la frizione tra la buccia di banana e la scarpa, i ricercatori hanno sperimentato che quando il piede effettua una certa pressione sui follicoli presenti all’interno della buccia, questi rilasciano un gel a base di polisaccaridi. Data la natura irregolare della buccia, questo gel rimane intrappolato tra la banana e il pavimento, rendendo, buccia e pavimento, molto scivolosi. Il coefficiente di frizione di una normale suola di scarpa su un linoleum è di 0,412, quello di una banana 6 volte più basso appena di poco superiore a quello di uno sci sul ghiaccio che è di 0,04. Niente di paragonabile alla buccia di una mela che è di 0,12 o della buccia di un’arancia che è 0,22.
La buccia di banana è quindi, a tutti gli effetti, la cosa più scivolosa su cui scivolare inavvertitamente.
Scivolare su una buccia di banana, cadere, perdere il controllo, finire rovinosamente a terra. Cosa c’è di così affascinante in questa ricerca? Perché l’idea di cadere ha un effetto così potente su di noi?
Se vivere si è mutato in un sopravvivere, se siamo sradicati, isolati, spaventati, impotenti, ridotti a un io minimo, allora forse la paura di perdere una posizione ottenuta, uno status quo o uno stato su facebook, la paura del disonore, del fallimento, ecco che cresce esponenzialmente, giorno dopo giorno.
Abbiamo bisogno di certezze, di verità assolute incrollabili, tutto in ordine tutto a posto, e, ora più che mai, l’ansia di cadere ci blocca, ci immobilizza, niente scarti o discrepanze, ci rende morti dentro ai nostri corpi.
Parola d’ordine: mai cambiare idea.
Eppure, forse, proprio adesso avremmo bisogno di scivolare su una bella buccia di banana, disseminare noi stessi, sulla nostra strada, delle bucce piene di follicoli gelatinosi per boicottare il nostro paralizzante spavento, ma anche semplicemente per scivolare fuori dalla nostra bolla di incrollabile convinzione in noi stessi. Così tronfi che lo sport nazionale è diventato il dileggio delle convinzioni altrui.
Forse col culo per terra scopriremo che c’è di peggio che perdere l’orgoglio, che vergognarsi, che essere ridicoli.
Forse col culo per terra saremmo in grado di vedere il limite di una visione tutta improntata sull’arte del rialzarsi, la resilienza e ‘non contano le volte che hai fallito, conta la capacità di rialzarsi’ e la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare…
Impariamo l’arte di cadere, del corpo che balza, gira, che aspira alle grandi eleganti altezze ma poi è capace anche di rovinare a terra, sgangherato. Che dite?
Ah, la scienza che studia la scivolosità delle cose è la tribologia e io penso che la vertigine sia una semplice e banale paura di cadere. Ma sono pronta a cambiare idea.
BIBLIOGRAFIA
Stefano Mancuso, La pianta del mondo Laterza 2020
Christopher Lasch L’ io minimo. Sopravvivenza psichica in tempi difficili Neri Pozza 2018
CREDITS
image © Aaron Siskind Foundation
text © Linda Ronzoni – Direttrice Creativa Il Lazzaretto
Categoria: L'editoriale
Questo articolo è stato scritto da Linda Ronzoni