
Gli addetti al muschio
Una decina d’anni fa un’amica, di ritorno da un viaggio in Giappone, mi raccontò degli addetti al muschio.
I giardini giapponesi con le loro prospettive sbieche, gli itinerari sinuosi e le asimmetrie ricreano una messa in scena della natura in cui l’apparente disordine di ogni elemento si ricompone in un’armonia superiore.
In questo disordine ordinatissimo i garbati giardinieri giapponesi si muovono silenziosi indossando scarpe di gomma morbida per non sciupare il muschio, che puliscono meticolosamente come se fosse una moquette, con scopino e paletta.
In realtà non si limitano a pulirlo. Lo pettinano e lo rammendano.
Ogni giorno si occupano del muschio.
Sono gli addetti al muschio.
La polvere si deposita su tutto, l’abbiamo appena tolta e ricomincia a posarsi sugli oggetti, i pavimenti si sporcano, le unghie crescono, i vetri si riempiono di ditate, la pesca marcisce nel cassetto del frigorifero, le assicurazioni scadono, il doppio sacchetto dell’umido percola nella pattumiera, i capelli bianchi ricompaiono sotto alla tinta, il vento riempie di foglie il balcone spazzato ieri, i peli ricrescono, le bici si sgonfiano, i lavandini si intasano, le stampanti si inceppano, le camicie si stropicciano, il tarassaco cresce nelle crepe dei marciapiedi.
Tutto tende al disordine.
Tutto ha bisogno di manutenzione, continuamente.
E oltre ai peli e ai pavimenti ci sarebbe da manutenere anche quello che è immateriale. L’amore, l’amicizia, le idee, le parole.
E poi quello che è di tutti: la città, la memoria, l’aria, la scuola, le spiagge.
Il costo mentale ed emotivo della manutenzione è altissimo. Ci vogliono attenzione ininterrotta e dedizione. È un lavoro che non finisce mai e che non ti fa meritare nessuna medaglia, ma pensare di poter delegare questo lavoro ad altri non è una soluzione.
Per essere liberi e adulti bisogna essere autosufficienti, soprattutto nelle questioni piccole, materiali, personali. Non occuparci di sistemare le scarpe, o di pulire il nostro bagno, vuol dire negare di avere due piedi e un intestino. Vuol dire considerarci esseri idealizzati che devono occuparsi di cose più alte rispetto al proprio corpo. Ci sarà un servo o una mamma che lo faranno per noi.
Allora mi viene in mente Kurt Vonnegut che diceva: uno dei difetti degli esseri umani è che tutti vogliono costruire ma nessuno vuole fare manutenzione; e nel male comune mi consolo ma poi mi riprende l’ansia: spartita tra il bisogno di prendermi cura di me, e delle mie cose, e la frustazione per l’irraggiungibile standard di ordine e pulizia proposto dalla tv e dai libri che incoraggia il mio desiderio infantile di negligenza.
Ogni tanto mentre leggo un libro sul divano coi sensi di colpa per le camicie che non verranno stirate, le fughe della doccia con il calcare che non verranno pulite, per le tapparelle che anche quest’anno non laverò, penso agli addetti al muschio, in Giappone.
A quanto mi calma immaginare questi piccoli giardinieri che fanno manutenzione a una sola cosa, tutti i giorni.
Pulire il muschio.
Spazzolarlo e rammendarlo.
Mettere a posto un pezzo di mondo e concentrarsi solo su quello, come in una meditazione quotidiana.
Bibliografia
Robert M. Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta(Adelphi, 1988)
Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita (Rizzoli, 2007)
Credits
image © Ursus Wehrli
text © Linda Ronzoni – Direttrice Creativa Il Lazzaretto
Categoria: L'editoriale
Questo articolo è stato scritto da Federico